E’ stato un brutto periodo per me e credo continuerà ancora. Oggi è l’11 marzo e come ogni anno io ricordo la giornata mondiale del Rene, quest’anno però in modo differente.

Lettera dal figlio trapiantato alla mamma in dialisi.

Venerdì è mancata mia mamma, dopo quasi 16 anni di dialisi e un trapianto che le ha dato la speranza di una vita migliore di quella poteva essere, anche se ha funzionato per poco tempo.

Oggi ha fatto il suo ultimo viaggio dall’ospedale passando per casa, il viaggio che faceva per tre volte alla settimana, puntualmente.
Ma non sono triste, ne sono felice.
E’ stato un duro colpo certo, chi dice di non soffrire quando manca un proprio caro, o è un criminale o è un incosciente.
Ma io sono felice per lei, ha passato la linea che noi dializzati o trapiantati siamo costretti a guardare ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. La sottile linea rossa della morte che noi, grazie alla tecnologia e alla scienza, possiamo continuare a guardare e basta. Magari con molte cicatrici, aghi infilati nel braccio, cateteri, chi più ne ha più ne metta.
E’ dura, ripeto. Anche perché mia mamma non è nemmeno morta a causa della dialisi. Un momento di sbadataggine, un piede che perde lo scalino, un capitombolo e il femore che si rompe. La corsa in ospedale, il pronto soccorso. L’ho vista giovedì per videochiamata grazie ad una infermiera gentile che conoscevamo e con quel gesto almeno l’ha vista anche mio papà per l’ultima volta.
Ma io lo sapevo che avrebbe varcato la linea rossa, appena il medico arrivati in pronto soccorso mi ha detto che l’avrebbero operata, pur nelle sue disastrose condizioni di dializzata e cardiopatica.
Ne aveva ancora, ha affrontato l’operazione e ne è uscita viva. Non crediate che quella bazzecola l’abbia fermata. Ma probabilmente lo shock del risveglio, quello si, l’ha ammazzata. Ha fermato il suo cuore per sempre.
Ed è bene così. Ha vissuto, ha visto crescere prima i figli e poi i nipoti, vedermi stare male e rinascere per ben due volte. Ha sopportato tutto questo, una donna che nel ricordo dei conoscenti appare sempre forte.
Ed ora ha fatto il suo ultimo viaggio verso casa, libera finalmente dalla macchina della dialisi, senza più preoccupazioni di medicine, di viaggi alle 6 del mattino con freddo e neve, la pioggia o il troppo caldo.

Chi se ne frega adesso, noi restiamo qui ancora per un po’. Adesso è finalmente una barca a vela a cui son stati tolti gli ormeggi, libera da ogni catena che la tenga qui.
Ciao mamma, buona festa della donna, ci rivediamo presto!

Mirko

Purtroppo è andata così, senza nemmeno salutarla se ne è andata. E questo non è nemmeno il peggio che potesse capitarmi, ora. Il problema è che per me è uno specchio, un monito per il futuro che mi tiene sveglio la notte, o se dormo mi sveglia improvvisamente. Anche tu da vecchio sarai come lei? Arriverai alla sua età attaccato ad una macchina? A quanto serve tutto quello che stai facendo se poi dovrai soffrire? Molla tutto, divertiti, non avere pensieri. Perché ti danni a seguire un’associazione, a parlare con altri malati e a confortarli se a te non conforta nessuno? Dove sta la giustizia nelle cose, nella vita? Perché ad alcuni va bene, vivono una vita serena, senza dannarsi troppo l’anima, perché io ho avuto la sfiga di avere questa malattia e poi di avere la mamma con la stessa dannazione?

Ma noi, come possiamo vivere con tutta questa pressione addosso, Mirko?

Caro lettore che sei capitato qui consapevolmente o per caso, qui ci sarebbero da citare tanti di quei filosofi che manco Nietzsche con il suo “Dio è morto” ci potrebbe aiutare a trovare la via giusta. E quindi? Cosa dobbiamo fare?

Io credo nulla, nulla di nulla se non vivere quel che ci resta da vivere, “stando contenti” di quello che si ha, anche se la società moderna ci vomita addosso tanti di quegli stereotipi e modelli assurdi che qualche volta anche una persona normalissima, con tutte la cosine al loro posto che funzionano bene, si sente in difetto. Ma in difetto da cosa? Da nulla. Dal nulla più profondo di quelle menti vuote che instillano nelle menti concetti senza una reale utilità, dalle pubblicità in tv ai “influencer” che i social media producono a manetta tutti i giorni, tutti che vogliono mettersi in mostra pensando che una fotografia fatta bene mostri agli altri la loro vita perfetta. Macchine veloci, cellulari stratosferici, fighe da far girare il collo ai santi, soldi a palate, voli aerei personali per portarci dalle Maldive alle Hawaii tra un party al mattino e una festa in riva al mare al tramonto. Inquinando, fottendosene della salute altrui, “perché io sono speciale e devo essere libero di fare quello che voglio, anche se per la mia libertà muoiono delle persone, magari in una miniera di qualche minerale raro per costruire i loro portentosi nuovi oggetti di tendenza”. Fregandosene se il loro prossimo ha un difetto e ha diritto ad un parcheggio per invalidi, loro hanno il macchinone e devono poterlo parcheggiare. Se uno ha un difetto va eliminato, dicevano meno di cent’anni fa.

Siamo tutti in difetto, evidentemente. Chi di un paio di reni come me, chi di un cervello.

Ad ogni modo, resta il mio problema. Continuerò a svegliarmi di notte e a pensare alla mia vecchitudine, se mai arriverà. E allora io spero in una mano misericordiosa, che possa aiutarmi a sollevarmi da questo ultimo incarico, di vivere gli ultimi anni legato per forza ad una macchina. Aspettando giorno dopo giorno che questa sofferenza finisca, che mi arrivi una martellata in testa, una tegola, un mattone. Qualsiasi cosa che dia un colpo di spugna per finirla di soffrire.
Ora di mia mamma restano solo i suoi poveri vestiti e quattro cose a cui teneva. Tra qualche anno, nemmeno quelli.

Ma quindi, cosa posso fare io per combattere tutto questo? L’impegno nell’affrontare la vita mi impone di perpetrare la missione del divulgare il messaggio della donazione degli organi, della vita nonostante le difficoltà, del promuovere la prevenzione delle malattie che portano ad un trapianto, come nel mio caso. Vi invito a collegarvi al sito https://www.fondazioneitalianadelrene.org e seguire i consigli e divulgarli a vostra volta, facendovi anche voi parte attiva di questo mondo fatto di attese, sofferenza, pensieri come il mio. Date una mano per darvi una mano, io provo tanto sollievo a leggere i vostri commenti, le vostre mail, gli sms degli amici che ho conosciuto grazie a questo blog. Dare una mano ci rende migliori e ci aiuta ad affrontare la vita in modo diverso e a diventare più forti. Non saremo mai più soli nella nostra malattia.

“State, dunque, state contento in ogni tempo, in ogni luogo; perché tutti vi sono conceduti dallo eterno Amore” – Santa Rita da Cascia.

(nel mentre che scrivevo questo articolo, ascoltavo questo CD, ve lo consiglio)