Lettera che da l’apertura come prologo al libro “e non siamo soli”. Uno sfogo epico di un ex dializzato peritoneale e tutt’ora, emodializzato!

Di Alessandro Avventuroso, l’introduzione del libro comincia con una lettera che ho scritto nel maggio 2009 ad una persona amica a cui tengo particolarmente per  esprimergli il mio stato d’animo e l’allora mia riluttanza a convegni e congressi sui dializzati.

MAGGIO 2009

La colla del cerotto che fa prurito.

La pelle attorno al “tubino” che fa prurito.

Per ventiquattro ore al giorno per trecentosessantacinque giorni all’anno. Maledizione!

Ciao Mario,ti scrivo come persona dializzata da ormai tre anni e che non verrà mai ad un raduno o cena o convegno che sia sui dializzati, ma lo stesso ti mando la mia testimonianza.

La mia vita da dializzato è iniziata tre anni fa quando mi hanno detto che dovevo operarmi per inserirmi il catetere nell’addome… la mia vita e dei miei cari. Come a tutti, mi hanno detto che non è niente, vedrai che starai meglio, la vita non cambia. La vita non cambia? Viene rivoltata come un calzino e fosse solo la tua sarebbe niente. Il primo anno è quello dell’accettazione, dove tutto sommato riesci a sopportare bene la dialisi e ti muovi con disinvoltura tra medicazioni e sacche. Inizi a parlarne con gli amici rincuorandoli e con i colleghi rassicurandoli che non c’è nessun problema per il lavoro; i tuoi ti sono vicino si fanno in quattro per te, per farti sentire meno possibile questo fardello che stai iniziando a portarti addosso e vai avanti confidando che il periodo sia già verso il termine. Errore. Maledizione!

Il secondo anno è quello della rassegnazione: accetti la dialisi in automatico senza pensarci… doccia = medicazione, letto = dialisi e altre cose simili, ma tutte fatte senza emozioni; sei in una specie di limbo astratto, dove esisti tu e la dialisi e tutto intorno gira la tua vita, la tua quotidianità. I tuoi cari iniziano ad essere insofferenti nel vederti apati-
co ed iniziano le prime discussioni accese e tu sei vittima sacrificale del contesto. Ma accetti, è il tuo ruolo. Ma vai avanti e speri.Maledizione!

Il terzo anno scatta la rabbia per tutto, non sopporti più i gesti quotidiani, quali mettere le sacche a riscaldare, rompere i cartoni delle sacche, la preparazione alla dialisi, il dovere andare a letto e non alzarti quando vuoi. Ogni gesto che ti riconduce alla dialisi ti fa montare la rabbia, rabbia che senti scorrere in tutto il corpo. Quando sei a letto le gambe non stanno ferme, hai sempre dentro di te una scossa che attraversa il corpo e ti senti addosso un corpo estraneo e il cerotto ma poi… la vita non cambia. Maledizione!

Sì perché fino al giorno prima di entrare in dialisi ti dicono che farai tutto quello che facevi prima, ma dal giorno dopo le cose sono un po’ diverse o meglio io le vedo diverse. Se prima facevo i corsi di nuoto, il giorno dopo l’intervento (dico il giorno dopo per semplificare) non li puoi più fare perché ti dicono che è pericoloso per via dell’acqua sporca delle piscine. Ma va bene lo stesso, riesco comunque a lavorare… non andare in piscina non è la fine del mondo. Maledizione!

Poi ti fanno tutte le raccomandazioni che non elenco perché le saprai e forse meglio di me. E qui inizia il bello… io penso che chi entra in dialisi debba avere un partner forte (io ce l’ho per fortuna), e proprio perché tale mette subito in atto le sue difese per farti sentire meno “disabile” con i mezzi che ha.

Avuta la certezza che il lavoro continuerà, per il bene di tutta la famiglia, si preoccupa delle ferie e di come farti stare meglio e, a meno che uno non abbia una casa di proprietà al mare o ai monti, la scelta cade sul camper o roulotte… questo penso per il 100% dei casi di coniuge di dializzati. Così mia moglie si è presentata a casa con una roulotte.

Qua dovrebbe intervenire uno psicologo per spiegare il motivo di questa scelta, io ci provo anche se non lo sono, e penso che sia dettata dal tentativo del coniuge per farti sentire libero. Le argomentazioni di mia moglie, quando ha preso la roulotte, erano la libertà e fare quello che si voleva. Già, quello che si voleva, …però se vai al mare ricordati che non puoi fare il bagno nel mare, ah stai attento che non puoi andare in spiaggia dove c’è la sabbia… ma allora che ci vado a fare al mare? Giri in bici, quelli sì li puoi fare, ma allora non mi serve un camper per fare un giro in bicicletta. E poi perché non in un albergo di lusso con tutte le comodità o affittare un appartamento in qualche località turistica? No, la roulotte è meglio mi dice, vedrai. Libertà libertà.

Una settimana a Jesolo in roulotte, che bello… e subentra la scelta del campeggio che deve avere dei buoni servizi igienici, perché hai il tubino sai, e tutte le altre “comodità”, così finiamo nel campeggio più caro di tutta la riviera. Sistemata la roulotte iniziano le vacanze al mare ma io per una settimana non ho mai visto la spiaggia né il colore dell’acqua. Acqua quella piovana invece tanta, ma stare attaccati alla macchina sotto un temporale con le finestrelle aperte sul soffitto e non arrivarci a chiuderle per via del tubo corto non è il massimo e neanche normale. Finisco col dire che è stata una sofferenza, non una vacanza e certe volte dovevo anche far credere che mi piacesse per non deludere mia moglie che si faceva in quattro, dallo svuotare la tanica a mille altri impicci, alla preparazione delle sacche e quant’altro.

L’anno successivo non ho voluto andare in ferie anche per altri motivi e con mio sollievo, mia moglie ha venduto la roulotte. La dialisi sconvolge tutto credimi e penso che tu metta in campo tutte le tue energie, competenze e conoscenze per cercare di rendere normale ciò che normale non è.

Non voglio certamente criticarti, anzi, quello che fai è un gesto nobilissimo anche se lo vuoi nascondere dietro ad una normalità, ma credimi non lo è. Ognuno fa quello che si sente, per amore nei confronti della persona che sta cambiando sotto i suoi occhi (il cambio non è solo fisico). E te ne accorgi, e sei impotente, e più è grande la tua impotenza più ti adoperi per far sì che tutto sia “normale”. All’inizio la dialisi viene accettata come cosa buona perché ti permette di lavorare e questo è vero, ma poi? Alla sera quando sono le otto devi pensare ad “attaccarti “ alla macchina per andare al lavoro alla matti-
na. Per i primi tempi è un po’ diverso perché hai solo due sacche e forse ti puoi permettere di attaccarti un po’ più tardi, ma per me che dovevo partire, a volte alle sette, era una corsa contro il tempo e se poi arrivavi tardi la sera a casa e dovevi mangiare, fare la doccia e la medicazione in un tempo ristretto, era un’angoscia. In piena consapevolezza so che la dialisi mi fa vivere: sia chiaro. Nel mio caso personale ho dovuto anche cambiare lavoro e non ti dico le conseguenze morali ed economiche che ho, e sto affrontando.

Dicevo due sacche perché nell’arco del tempo di dialisi si potrebbe subire delle modifiche di aumento di sacche e di conseguenza aumento del tempo di dialisi, tenere del liquido in pancia ma queste sono cose tecniche che il reparto sa spiegare meglio di me. Apro una parentesi sul personale del reparto di dialisi e devo dire che in tutti questi anni sono stato trattato con un amore e una passione che non è possibile dimenticare e spero che venga recepito da tutti i miei “colleghi”. Io ho avuto un trattamento senza pari e posso dire che forse mi abbiano anche salvato la vita e sarò sempre riconoscente a loro. Impareggiabili. Dialisi peritoneale meglio dell’emodialisi…mmhh non so… certo puoi fare quello che vuoi…puoi lavorare. Maledizione!

Però, se alla notte ti svegli e hai fame, non puoi alzarti e svuotare il frigo, devi chiedere e poi non puoi lavarti i denti. Maledizione!

Hai sete e non hai l’acqua sul comodino? Non puoi alzarti devi chiedere. Maledizione!

Se sei fortunato e alla notte ti scappa la pipì? Pappagallo o padella. Maledizione!

Puoi fare tutto quello che facevi prima? No, no e no, non si può e ognuno avrà un suo bagaglio di esperienze a dimostrare che non è più la stessa vita né per lui né per la sua famiglia. Io vorrei andare alla sera a trovare mia figlia e darle la buonanotte ma non posso. Maledizione!

Passare una sera seduto in poltrona con la famiglia? Non posso. Maledizione!

Fare due chiacchiere con gli amici al bar alla sera? Non posso. Maledizione!

Cinema?Al pomeriggio. Maledizione!

Saranno sciocchezze ma a me servono per farmi sentire ancora vivo perché oltre a tutto questo c’è una cosa importante e finale che non ho mai menzionato: l’attesa per il trapianto. Maledizione!

Ciao,
Alessandro

Pagina Facebook di riferimento al libro “E non siamo soli – Frammenti di una malattia

Un commento

  • Raffaele ha detto:

    Purtroppo è tutto vero, una triste realtà, ma x consolarci c’è chi sta peggio di noi, colui al quale hanno diagnosticato un tumore, interventi e terapia che non sono una passeggiata con l’incertezza del futuro. Magra consolazione è tutto quello che ci resta.

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